Negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo di nuove e più sofisticate tecnologie che stanno cambiando completamente il modo di fare la biopsia prostatica. Ogni anno in Italia sono circa 36mila i nuovi casi di carcinoma alla prostata e la mortalità è costantemente in calo grazie alla diagnosi precoce, che permette di riconoscere la presenza della malattia in fase iniziale quando è più semplice da curare, e grazie alle numerose terapie oggi a disposizione. Da anni, però, specialisti e ricercatori cercano un metodo più efficace per eseguire diagnosi tempestive, precise ed evitare i trattamenti in eccesso. «Ad oggi non possiamo prescindere dalla biopsia, ossia dall’esame istologico di frammenti di prostata prelevati con un ago – spiega Paolo Puppo, responsabile del centro di Urologia di San Remo e direttore scientifico di un convegno internazionale sul tema che si terrà a Roma il 23 e il 24 gennaio -. Ora, però, attraverso l’uso di ecografie 3D e software sempre più avanzati si è in grado di simulare, registrare e ricostruire il percorso dell’ago nella ghiandola, evitando così inutili trattamenti, ed assicurando valutazioni sempre più precise e accurate».
Serve una biopsia attendibile per decidere la terapia
Il tumore della prostata è la neoplasia più frequente negli uomini, la cui incidenza aumenta progressivamente con l’età. Inizialmente la malattia è confinata alla ghiandola prostatica e (nella maggior parte dei casi) è caratterizzata da una crescita molto lenta: può restare asintomatica e non diagnosticata anche per anni. «In certi casi il tumore, anche se non curato, non altera la qualità e la durata di vita del paziente – precisa Michele Gallucci, direttore dell’Urologia dell’Istituto Tumori Regina Elena di Roma e membro del comitato scientifico del congresso -. Al contrario, in altri casi il tumore può risultare molto aggressivo e diffondersi velocemente ad altre parti del corpo, soprattutto a livello linfonodale ed osseo». Capire dunque quale tipologia si ha di fronte è indispensabile per decidere come procedere e quale strategia scegliere, fra le tante a disposizione. «In base alle diverse gradazioni di rischio esistono terapie “su misura” – continua Gallucci -. Per i rischi bassi o molto bassi c’è l’opzione sorveglianza attiva, ossia il controllo attento e periodico con riserva di procedere con una terapia in caso di progressione del tumore. Per i rischi intermedi ed alti entrano in gioco la chirurgia e la radioterapia. L’attribuzione delle categorie di rischio avviene principalmente sulla base dei risultati della biopsia prostatica, che dovrebbe quindi essere la più precisa ed attendibile possibile».
I problemi delle attuali biopsie
Il fatto è che la qualità delle attuali biopsie prostatiche non è ottimale: «Per biopsiare bene bisogna vedere bene e l’urologo per vedere dove inserire l’ago della biopsia usa l’immagine ad ultrasuoni, che però non distinguono quasi mai tra tessuto sano e tumore – chiarisce Puppo -. Quindi per aver maggiori possibilità di pungere il tumore si effettua una specie di mappaggio della prostata, con un numero di campioni teoricamente equidistanti tra di loro che può arrivare sino a 24. Il numero è però un surrogato della qualità: nella biopsia tradizionale non esiste nessun sistema di controllo per verificare l’effettiva collocazione spaziale dei prelievi». In pratica, non esiste un sistema per essere ragionevolmente sicuri di non biopsiare più volte lo stesso punto e non arrivare mai ad intere zone della prostata.
Nuove strategie in arrivo per diagnosi più accurate
Ma a questo problema si sta finalmente ovviando con l’adozione di ecografi tridimensionali e con l’uso di software appositi che simulano, ricostruiscono e registrano il percorso dell’ago all’interno della prostata. «Con i nuovi macchinari si può avere finalmente un controllo di qualità del prelievo e la ragionevole certezza di aver effettuato un valido mappaggio della prostata – aggiunge l’esperto -. L’immagine della prostata è in tre dimensioni e il software ricostruisce il passaggio dell’ago e lo registra ed in più consente anche di simulare il prelievo , in modo tale da poter cambiare direzione in caso di errore ». Altra strategia in arrivo è la cosiddetta «fusion biopsy» o biopsia con fusione, che consente in maniera estremamente efficace di mirare, in associazione con lo stesso software 3d, le zone evidenziate come sospette dalla risonanza magnetica, trasferendo in pratica le informazioni della risonanza sull’immagine ecografica tridimensionale. «Le prime esperienze con questa strategia – conclude Puppo – la biopsia con fusione si è dimostrata in grado di aumentare significativamente l’accuratezza diagnostica della biopsia».
Da Sportello Cancro 23 gennaio 2015